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lunedì 1 giugno 2009

Quando a dettare legge sono i nostri amici (ma a quattro zampe)

Il GIORNALE
24 MAGGIO 2009

Quando a dettare legge sono i nostri amici (ma a quattro zampe)

CINZIA ROMANI

Mondo cane, ma non per gli
italiani, che di recente, quando quadrupedi rabbiosi mordevano, in
Sicilia, uccidendo bambini e turisti, si sono interrogati a lungo sui
perché di certi abbandoni. E non senza conflitti interiori: era giusto,
per dire, abbattere quelle bestie con la bava alla bocca, invece di
curarle, prevenendo prima, senza abbandonarle all'incuria umana, le
loro esplosioni di selvaggeria mortale?
Per il tramite di una
singolare ondata di azzannamenti, quest'inverno, si è capito, anche
attraverso puntuali resoconti di cronaca, che i cittadini più avvertiti
erano pronti a mettere, sullo stesso piano di una profonda pietas,
uomini e bestie, con uguale diritto alla tutela e a un equo giudizio. E
sembrano lontane anni luce certe prese di posizione dei gesuiti, che
nei primi Ottanta davano l'altolà a quanti si dedicassero agli animali
domestici, «specialmente ai cani e ai gatti, spendendo enormi e inutili
somme, risorse che potrebbero essere dedicate a cause più nobili, ad
esempio sfamare i bambini del Terzo mondo», come denunciavano i
religiosi della Compagnia di Gesù dalle colonne di Civiltà Cattolica,
quindicinale caro alla Santa Sede. Prima di tutto, nella nostra
coscienza civile sembra entrato, e in modo stabile, il concetto che gli
animali posseggono se non un'anima, almeno una sensibilità cosciente.
Il che viene anche ribadito, a Roma, a ogni festa di san Francesco
d'Assisi, quando migliaia di fedeli si danno appuntamento nella
basilica di Santa Maria in Trastevere, per la rituale benedizione degli
animali domestici, nel nome del Poverello assisano.
Durante gli anni
Cinquanta, per esempio, annoiati ragazzini ruspanti, per fare un gioco
da cortile, potevano amputare le code alle lucertole, o tormentare i
gatti, dando fuoco alle loro code e tali «passatempi» non venivano
condannati dall'opinione pubblica. Anzi,c'era chi li considerava prove
iniziatiche d'ingresso nel mondo adulto, un mondo inutilmente feroce e
perciò stesso, «forte». Ma adesso, con un Codice penale più rispondente
all'attuale complessità del vivere comune, improntato a una maggiore
sensibilità verso l'altro da sé, bestia inclusa, le norme sui «delitti
contro gli animali» (approvate in via definitiva nel 2004) prevedono
sanzioni assai severe per chi faccia soffrire Fido o Micio. Basti
pensare che chiunque cagioni una lesione a un animale, o a fatiche
insopportabili è punito con la reclusione da 3 mesi a un anno, o con la
multa da 3.000 a 15.000 euro. Ne sanno qualcosa i «botticellari», che
spariranno dal congestionato traffico capitolino, visti i tanti cavalli
stramazzati sul selciato, quest'anno, e prontamente fotografati, via
cellulare, dai passanti indignati, o commossi da quelle morti sul
lavoro. E siccome il grande caldo avanza e l'estate, si sa, invoglia
all'abbandono dei quattrozampe privi di favella, ma non di cuore, è
utile ricordare che ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di
procedura penale, gli animali da affezione non si possono scaricare
impunemente da auto in corsa: la vigilanza è d'obbligo e (per fortuna)
c'è sempre qualcuno che scatta una foto e la invia ai Carabinieri,
insieme al numero di targa.
Certo, ancora non siamo ai livelli degli
americani, quanto ad «animal law», quella combinazione di norme
giuridiche, sociali e biologiche, che da circa trent'anni difende gli
interessi degli animali. Al momento, il «Diritto Animale» negli Usa è
materia d'insegnamento in 110 università, comprese le più note Harvard,
Stanford, Ucla, University of Michigan e Georgetown University: sei
famiglie americane su dieci, infatti, tengono in casa animali, che
trattano come membri di famiglia. Proprio come si vede nella brillante
commedia «Io & Marley», dove una tipica famigliola a stelle e strisce
modifica il proprio stile di vita in relazione alle esigenze del cane
di casa, un invadente e simpatico Labrador, che da morto verrà sepolto
in giardino, con tanto di orazione funebre. Del resto, la lobby
animalista in America risulta più potente di quanto non sia in Italia,
anche perché non si contano i casi di miliardari, che morendo lasciano
i propri ingenti patrimoni al cane o al gatto, come ha fatto di recente
Leone Helmsey, pronto a intestare beni mobili e immobili al suo cane
maltese, Trouble. In caso di divorzio, poi, il cane della coppia
diventa spinosa materia di contesa e quindi molte università, come la
Georgetown, o la Lewis&Clark School di Portland, mettono in sinergia le
proprie facoltà di Diritto animale con le varie società di «Animal
legal defense», mettendo così anche in moto un consistente giro
d'affari. Per tacere della «Animal law review», la rivista
specializzata, che tratta persino questioni inerenti alle royalties,
che possono «incassare» quei cavalli o scimpanzé artisti, in grado di
dipingere tele, poi vendute sul mercato dell'arte... E pensare che
quando Brigitte Bardot, smesso il broncio da star, cominciò a occuparsi
dei diritti degli animali, c'era sempre qualcuno pronto a darle della
matta fissata

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